




La ghiandola tiroidea è un organo endocrino essenziale che regola i processi fisiologici importanti per il mantenimento della salute e del benessere. È responsabile della sintesi e della secrezione degli ormoni tiroidei, la tiroxina (T4) e la triiodotironina (T3), che sono coinvolti nella funzione di tutti i sistemi dell’organismo. La funzione della tiroide è influenzata da vari fattori, tra cui la dieta e i micronutrienti. Dato il suo ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi, qualsiasi alterazione della funzione tiroidea può avere conseguenze significative, manifestandosi in un ampio spettro di disturbi che vanno dall’ipotiroidismo all’ipertiroidismo fino al cancro tiroideo. Negli ultimi anni, si è assistito a un crescente interesse per gli effetti che la nutrizione può avere sulla funzione tiroidea. Studi di ricerca hanno evidenziato, in particolare, l’influenza di diversi fattori dietetici e micronutrienti sulla sintesi, sul metabolismo e sulla funzione degli ormoni tiroidei. Comprendere queste relazioni è importante perché dieta e nutrizione rappresentano fattori modificabili che, se migliorati, possono potenzialmente ottimizzare la funzione tiroidea e ridurre l’incidenza dei disturbi tiroidei. La nutrizione è fondamentale per il nostro benessere e per il corretto funzionamento di tutti gli organi e sistemi. I macronutrienti e i micronutrienti sono componenti vitali della nutrizione. Lipidi, carboidrati e proteine sono macronutrienti che forniscono energia e ormoni, sono necessari per la sintesi di molecole e regolano i processi metabolici. I micronutrienti, richiesti in quantità minori, si sono rivelati elementi chiave per sostenere una funzione tiroidea ottimale, tra cui lo iodio, il selenio, il ferro e la vitamina D. Ad oggi, è ben riconosciuta l’esistenza di un asse tiroide–intestino. Si sa anche che il ruolo del microbiota è influenzato dalla disponibilità di micronutrienti, da farmaci e da contaminanti ambientali, tra altri fattori.
IODIO
Lo iodio svolge un ruolo essenziale nella sintesi degli ormoni tiroidei (TH). Viene assorbito nell’intestino tenue, principalmente sotto forma di ioni ioduro (I⁻), trasportato attraverso il flusso sanguigno alla ghiandola tiroidea, dove viene attivamente captato dalle cellule follicolari tiroidee. All’interno di queste cellule, l’iodio viene incorporato enzimaticamente nei residui di tirosina della tireoglobulina, una grande glicoproteina sintetizzata dalla ghiandola tiroidea. Questo processo porta alla formazione della monoiodotirosina (MIT) e della diiodotirosina (DIT), che subiscono ulteriori reazioni di iodurazione per produrre triiodotironina (T3) e tiroxina (T4), gli ormoni tiroidei attivi. Questi residui iodati di tirosina fanno parte della molecola di tireoglobulina, e quando l’organismo necessita degli ormoni, la tireoglobulina viene degradata, rilasciando T3 e T4 nel flusso sanguigno. Pertanto, un apporto adeguato di iodio è necessario per mantenere una normale funzione tiroidea. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) propone assunzioni giornaliere di iodio specifiche per età, che variano da 70 μg/24 h per i bambini fino a 150 μg/24 h alla fine dell’adolescenza. Queste quantità sono calcolate per garantire una concentrazione urinaria di iodio (UIC) ≥ 100 μg/L, soglia associata alla più bassa prevalenza di gozzo da carenza iodica nei bambini in età scolare. Si stima che nei bambini sani il corpo contenga circa 15–20 mg di iodio, con la maggior parte immagazzinata nella ghiandola tiroidea.
La iodizzazione universale del sale è considerata il metodo più efficace per garantire un’adeguata assunzione di iodio nella popolazione [12,19]. Tuttavia, questa strategia non è stata adottata universalmente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fornisce linee guida per l’integrazione iodica basate sul consumo domestico di sale iodato. Nelle regioni in cui meno del 90% delle famiglie consuma sale iodato e la concentrazione urinaria mediana di iodio è inferiore a 100 μg/L, è consigliata un’integrazione con ioduro di potassio, mirata a raggiungere 250 μg/giorno. In alternativa, nelle popolazioni gravemente carenti di iodio, dove l’integrazione giornaliera può essere impraticabile, si può considerare una dose annuale di 400 mg di olio iodato. L’ideale sarebbe iniziare l’integrazione almeno 3 mesi prima del concepimento, per garantire che le riserve tiroidee materne di iodio siano sufficienti per tutta la gravidanza. Una bassa assunzione di iodio durante lo svezzamento può avere conseguenze a lungo termine sullo sviluppo cognitivo e sulla funzione tiroidea del neonato. Studi dimostrano che neonati con insufficiente apporto iodico possono presentare QI inferiori e un maggiore rischio di disturbi tiroidei.
Iodio durante l’adolescenza: carenza, eccesso e implicazioni sulla salute tiroidea
Durante l’adolescenza, una carenza di iodio può portare allo sviluppo di gozzo nodulare, mentre un’assunzione eccessiva o la fortificazione alimentare con iodio possono aumentare il rischio di autoimmunità tiroidea. I meccanismi attraverso cui l’eccesso di iodio provoca tiroidite non sono ancora del tutto chiari, ma sono state proposte varie teorie di tipo immunologico e non immunologico. Tra queste, si ipotizza che un eccesso e un accumulo di iodio nelle cellule tiroidee possa generare un elevato stress ossidativo e causare danni cellulari. Ciò può stimolare la produzione e la secrezione di citochine e chemochine, che richiamano linfociti nella tiroide, dove incontrano autoantigeni tiroidei, come la tireoglobulina. L’eccesso di iodio può modificare la conformazione della tireoglobulina, rendendola più facilmente riconoscibile dal sistema immunitario. Questo può portare allo sviluppo di ipersensibilità patologica agli autoantigeni tiroidei, con conseguente comparsa di tiroidite autoimmune. Pertanto, una volta raggiunta un’assunzione adeguata di iodio (mirando a una ioduria > 100 μg/L, valore associato a una minima incidenza di gozzo nella popolazione in crescita), è fondamentale prestare particolare attenzione all’assunzione nutrizionale per evitare eccessi dannosi.
Oggi, con le influenze gastronomiche globali che modificano significativamente le abitudini alimentari degli adolescenti, questo aspetto diventa ancora più cruciale. In uno studio condotto su bambini e adolescenti italiani, si è visto che il fabbisogno di iodio veniva soddisfatto principalmente attraverso un’eccessiva assunzione di sale (>10,2 g/giorno). Questo dato ha messo in evidenza non solo il problema del consumo eccessivo di sale, ma anche il fatto che il sale iodato è poco utilizzato nei processi industriali e nella ristorazione collettiva. Si ritiene comunemente che alcuni alimenti, come quelli della famiglia delle Brassicaceae (broccoli, cavoli), la manioca e il miglio, possano ostacolare l’assorbimento dello iodio. Tuttavia, questo effetto è rilevante solo se consumati in grandi quantità e in condizioni di carenza iodica. Di particolare interesse è il meccanismo dei tiocianati, che inibiscono competitivamente l’assorbimento dello iodio da parte dei tireociti e favoriscono la fuoriuscita di iodio intratiroideo.
FUMO, OBESITÀ E TIOCIANATI
È importante notare che il fumo di sigaretta contiene quantità significative di tiocianati, il che spiega l’associazione tra fumo e gozzo. Questa associazione è ancora più marcata nei casi di obesità. Tutto ciò sottolinea la necessità di rafforzare le campagne di prevenzione contro il fumo e l’obesità, soprattutto in questa fascia d’età.
SELENIO
Il selenio (Se) è un oligoelemento essenziale, fondamentale per il sistema tiroideo. Il corpo umano ne contiene circa 14 mg, ed è una componente integrale degli enzimi glutatione perossidasi (GPx) e iodotironina deiodinasi, dove è incorporato sotto forma di selenocisteina. La GPx dipendente dal selenio catalizza la degradazione del perossido di idrogeno (H₂O₂), proteggendo i tessuti dallo stress ossidativo e dai danni cellulari. Nella ghiandola tiroidea, l’H₂O₂ viene prodotto in risposta alla stimolazione della tireotropina (TSH) ed è necessario per la iodinazione della tireoglobulina tramite l’enzima tiroide perossidasi (TPO), portando alla produzione di T4. Un eccesso di H₂O₂ può inattivare la TPO in vitro, suggerendo che un suo accumulo possa compromettere anche la sintesi degli ormoni tiroidei (TH).
La carenza di Se è stata associata a diversi disturbi tiroidei, come:
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Ipotiroidismo e ipotiroidismo subclinico
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Cancro della tiroide
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Malattie tiroidee autoimmuni, inclusi tiroidite di Hashimoto (HT) e morbo di Graves (GD)
Questi dati suggeriscono una relazione negativa tra Se plasmatico e livelli di T4 e rT3, ma senza segni clinici di ipotiroidismo. In uno studio su 23 bambini in età scolare, residenti in una zona gravemente carente di iodio e selenio, l’integrazione con selenio:
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Aumentava i livelli plasmatici di Se
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Incrementava l’attività della GPx eritrocitaria
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Riduceva del 30–50% i livelli di T4 e FT4, portandoli a valori compatibili con l’ipotiroidismo
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TSH e T3 rimanevano invariati
Ciò suggerisce che, in aree carenti di iodio, correggere la sola carenza di Se può aumentare la conversione periferica di T4 in T3, senza alterare l’omeostasi centrale. Uno studio osservazionale di coorte in 1254 adulti ha documentato un aumento dell’incidenza di tiroidite di Hashimoto dopo 6 anni in soggetti con bassi livelli di Se, sostenendo l’importanza di un’adeguata assunzione di selenio per la prevenzione dell’autoimmunità tiroidea, in particolare nelle donne. Diverse revisioni sistematiche e meta-analisi hanno valutato gli effetti del trattamento con selenio nelle malattie tiroidee autoimmuni:
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Una meta-analisi di 16 studi ha rilevato una riduzione dei TPOAb con integrazione di selenio, soprattutto nei pazienti già in terapia con levotiroxina (L-T4).
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Una revisione sistematica del 2017 ha individuato solo tre studi con miglioramenti in qualità della vita e ecogenicità tiroidea all’ecografia, ma senza numeri sufficienti per una meta-analisi.
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Una meta-analisi recente ha mostrato riduzioni significative del TSH e degli anti-TPO in soggetti con HT (eutiroidi o con ipotiroidismo subclinico), non in trattamento ormonale sostitutivo (THRT), dopo supplementazione con selenio.
Questi risultati suggeriscono un possibile beneficio dell’integrazione con selenio nelle patologie tiroidee autoimmuni. Per evitare tossicità da selenio, i medici dovrebbero attenersi alle dosi raccomandate (80–400 μg/die) e evitare supplementazioni ad alto dosaggio prolungate. Gli effetti avversi devono essere valutati, in particolare nei soggetti non carenti di Se.
FERRO
Il ferro (Fe) è il terzo oligoelemento essenziale importante per la normale biosintesi e funzione degli ormoni tiroidei (TH). Il corpo umano adulto contiene circa 4 grammi di ferro (pari allo 0,005% del peso corporeo). La maggior parte di questo ferro si trova nell’emoglobina e nella mioglobina, ma è presente anche in diversi citocromi e altre proteine contenenti eme. Il ferro costituisce l’atomo centrale nei siti attivi di queste proteine, inclusa la tiroide perossidasi (TPO), che è espressa unicamente dalle cellule tiroidee ed è correlata alla mieloperossidasi e alla latto-perossidasi. La TPO è un enzima multifunzionale cruciale nella sintesi degli ormoni tiroidei. La carenza di ferro e l’anemia sono associate a ipotiroidismo, probabilmente a causa della ridotta biosintesi della TPO, una proteina eme-dipendente. Tuttavia, il rapporto tra ferro e ormoni tiroidei è bidirezionale, poiché gli ormoni tiroidei stimolano direttamente l’eritropoiesi, soprattutto attraverso il recettore TR-alfa. L’integrazione di ferro e il miglioramento dello stato marziale, in aree con carenza endemica, hanno incrementato la biosintesi degli ormoni tiroidei, come dimostrato nei bambini e nei pazienti anemici (soprattutto donne).
L’associazione tra carenza di ferro e autoimmunità tiroidea non è ancora stata saldamente stabilita. Molti pazienti con tiroidite di Hashimoto (HT) presentano carenza di ferro a causa di comorbidità come:
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gastrite autoimmune, che riduce l’assorbimento del ferro;
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celiachia, che porta alla perdita di ferro.
In uno studio retrospettivo recente, le pazienti con autoanticorpi tiroidei positivi presentavano livelli significativamente più alti di TSH, TPOAb e TgAb, e livelli significativamente più bassi di ematocrito, volume corpuscolare medio, emoglobina, ferritina e ferro, rispetto a un gruppo di controllo sano. In questi casi, può essere necessario un trattamento combinato con T4 e integratori di ferro ad alta biodisponibilità, che ha dimostrato di essere più efficace rispetto alla somministrazione di ciascun elemento singolarmente.
VITAMINA D
I recettori della vitamina D sono presenti nella ghiandola tiroidea, suggerendo un potenziale ruolo nella funzione tiroidea. La vitamina D modula il sistema immunitario stimolando la risposta immunitaria innata e inibendo quella adattativa. La capacità della vitamina D di sopprimere il sistema immunitario adattativo migliora la tolleranza immunitaria e sembra essere utile in varie patologie autoimmuni. In età pediatrica e adolescenziale, studi clinici hanno riportato bassi livelli di vitamina D in presenza di malattia tiroidea autoimmune (AITD), suggerendo un’associazione tra deficit di vitamina D e autoimmunità tiroidea. Negli ultimi anni, sono stati pubblicati studi sull’efficacia dell’integrazione di vitamina D nelle malattie tiroidee autoimmuni. Dopo 4 mesi di integrazione orale di vitamina D3 (1200–4000 UI/giorno) in 186 pazienti carenti, si è osservata una riduzione significativa (20,3%) dei livelli sierici di TPOAb. Uno studio di Taheriniya et al., che ha analizzato 42 studi su pazienti con AITD, ha concluso che la carenza di vitamina D è associata all’insorgenza di AITD, comprese tiroidite di Hascimoto e ipotiroidismo. Un basso stato di vitamina D può essere una conseguenza, più che una causa, delle malattie tiroidee, influenzato da fattori quali scarsa assunzione alimentare, malassorbimento, mancanza di esposizione solare o ridotta attività all’aperto. Le ultime meta-analisi hanno mostrato un rischio aumentato di cancro alla tiroide nei soggetti con carenza di vitamina D.
ZINCO
Lo zinco (Zn) è un minerale traccia che contribuisce all’espressione genica e alla crescita cellulare, fungendo da cofattore per numerosi enzimi coinvolti in vari processi fisiologici, tra cui la sintesi e il metabolismo degli ormoni tiroidei. Gli alimenti più comuni ricchi di zinco sono ostriche e pesce, legumi, noci, carne rossa, cereali integrali e latticini. All’interno della ghiandola tiroidea, lo zinco svolge un ruolo cruciale nell’attività della TPO (tiroid perossidasi), un enzima essenziale per la sintesi degli ormoni tiroidei. La TPO catalizza l’iodinazione della tireoglobulina, un precursore proteico degli ormoni tiroidei, e il legame dei residui di iodotirosina per formare T4 e T3. Studi sperimentali in vitro e in vivo hanno fornito evidenze che lo zinco agisce come antiossidante, riducendo l’ossidazione delle macromolecole come DNA/RNA e proteine. Inoltre, lo zinco mitiga la risposta infiammatoria, riducendo la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Le malattie autoimmuni sono collegate a livelli anomali di zinco, che possono portare a una disfunzione nella trasduzione del segnale, influenzando la risposta immunitaria, la funzione cellulare e la differenziazione. La carenza di zinco può indebolire sia la risposta immunitaria innata che quella adattativa. Inoltre, l’attivazione dei linfociti T e la differenziazione in sottogruppi specifici (Th1, Th2, Th17, e Treg) influenzano significativamente il bilancio dello zinco. La carenza di zinco può compromettere la funzione del recettore degli ormoni tiroidei, influenzando la loro capacità di legarsi efficacemente agli ormoni tiroidei e di regolare l’espressione genica, portando a disruzioni nelle vie di segnalazione degli ormoni tiroidei, influenzando la sintesi degli ormoni tiroidei e potenzialmente contribuendo allo sviluppo dell’ipotiroidismo. Molti studi e revisioni sistematiche riportano un’associazione tra carenza di zinco e ipotiroidismo. La carenza acquisita di zinco può causare un altro sintomo comune nei pazienti con ipotiroidismo: perdita di capelli. La perdita di pigmento, la secchezza, la fragilità e la caduta dei capelli sono dovute alla carenza di zinco come cofattore delle metalloenzimi. Alcuni ricercatori suggeriscono l’uso di una dieta ricca di zinco per ottenere l’eutiroidismo, che potrebbe essere utile per l’alopecia.
RAME
Il rame (Cu) è un minerale traccia che si trova in carni organiche, pesce e crostacei, semi e cereali integrali, cioccolato e verdure a foglia verde. Esso è coinvolto in diversi processi chiave legati alla sintesi e regolazione degli ormoni tiroidei. L’assunzione dietetica raccomandata (RDA) è di circa 1 mg/d sia per gli uomini che per le donne adulte. Il rame è un cofattore per la tirosinasi ed è coinvolto nella conversione di T4 inattivo in T3 biologicamente attivo, necessario per la sintesi della TPO (tiroid perossidasi), un precursore degli ormoni tiroidei, e per il successivo accoppiamento dei residui iodotirosina per formare T4 e T3. Inoltre, il rame ha caratteristiche pro-ossidanti e antiossidanti. Il suo squilibrio porta a stress ossidativo e potrebbe portare a disfunzioni tiroidee. Come pro-ossidante, il rame può partecipare a reazioni simili a quelle di Fenton, producendo radicali idrossilici altamente reattivi a partire dal perossido di idrogeno. Questi radicali idrossilici sono potenti agenti ossidanti che possono danneggiare componenti cellulari, tra cui lipidi, proteine e DNA. Le azioni antiossidanti si verificano grazie al ruolo del rame nella superossido dismutasi per la mitigazione dello stress ossidativo e in enzimi dipendenti dal rame (come la citochrome c ossidasi e la ceruloplasmina). Il rame è anche associato alla regolazione dei livelli di calcio corporeo, che a sua volta previene l’assorbimento eccessivo di T4 nelle cellule sanguigne, ed è essenziale per supportare una funzione tiroidea ottimale e la regolazione degli ormoni. Una carenza di rame è stata correlata all’ipotiroidismo subclinico o ipotiroidismo. Tuttavia, un ampio sondaggio condotto negli USA ha mostrato che l’elevazione dei livelli di rame è correlata a livelli più elevati di fT4 e TT4 negli uomini, e a TT3 e TT4 nelle donne, il che richiede ulteriori studi. Ci sono studi limitati che trattano il rame e le tiroiditi autoimmuni (HTs). Szczepanik et al. (2021) non hanno trovato differenze significative tra i livelli di rame nei pazienti con HTs e i gruppi di controllo. Al contrario, Rasic-Milutinovic et al. (2017) hanno definito livelli più elevati di rame nei pazienti con HTs [109]. In questo singolo studio, i ricercatori hanno ipotizzato che l’elevato livello di selenio sierico e i bassi livelli di rame nei pazienti con HTs e ipotiroidismo conclamato potessero portare a dosi inferiori di L-tiroxina o al raggiungimento di uno stato eutiroidico con T4 libero ridotto a causa dell’impatto diretto del rapporto rame-selenio sull’equilibrio redox e sulla salute della tiroide.
Un eccesso di rame può essere dannoso per la funzione tiroidea e indicare un processo proliferativo in corso nella ghiandola tiroidea. Pertanto, una meta-analisi ha mostrato che livelli elevati di rame erano presenti in pazienti con cancro alla tiroide in Cina e Turchia. Poiché il rame è un cofattore nell’angiogenesi tumorale, i suoi alti livelli influenzano la crescita tumorale.
MAGNESIO
Il magnesio (Mg) è un minerale che si trova in verdure a foglia verde, legumi, noci, semi, latte e cereali integrali. Esso è coinvolto in diversi aspetti della funzione tiroidea, poiché è necessario per l’attivazione dell’adenosina trifosfato (ATP) e per la replicazione e trascrizione del DNA. Il magnesio agisce come un cofattore per numerosi enzimi e reazioni enzimatiche, ed è anche coinvolto nel metabolismo degli ormoni tiroidei. Può influenzare indirettamente la deiodinazione, che catalizza la conversione di T4 nella forma più attiva, T3.
Il magnesio è coinvolto nella regolazione della sensibilità dei recettori degli ormoni tiroidei come secondo messaggero, il che influisce sulla recettività dei tessuti target agli ormoni tiroidei e bilancia la fosforilazione ossidativa. La carenza di magnesio impatta sulla biodisponibilità e sulla distribuzione tissutale del selenio, risultando in livelli ridotti di selenio. Studi sperimentali hanno mostrato un aumento dell’indice follicolare-colloidale, della quantità di tirociti nel follicolo e delle vacuole di riassorbimento nel colloide, con attivazione dell’attività sintetica della ghiandola tiroidea mediante l’assunzione di cloruro di magnesio. La deficienza di magnesio è comune nella popolazione generale ed è stata associata a funzione tiroidea compromessa, disturbi metabolici e carcinogenesi. Studi su 1257 soggetti hanno mostrato un aumento del rischio di positività TgAb e una maggiore prevalenza di HTs e ipotiroidismo in caso di grave carenza di magnesio (0.55 mmol/L), suggerendo che i livelli di magnesio nel sangue dovrebbero essere indagati in individui con tiroidite autoimmune e ipotiroidismo. Si ipotizza che la carenza di magnesio, in combinazione con coenzima Q10 e selenio e una fosforilazione ossidativa inefficiente, porti a disfunzione mitocondriale e potenzi la sviluppo dell’ipertiroidismo.
Inoltre, la carenza di magnesio ha un impatto sulla carcinogenesi legandosi con l’infiammazione e/o i radicali liberi, che possono causare danni ossidativi al DNA e la formazione di tumori. Un studio trasversale che ha analizzato 5709 pazienti sottoposti a tiroidectomia ha trovato che i pazienti con cancro papillare alla tiroide avevano livelli sierici di magnesio inferiori rispetto ai pazienti con noduli benigni, ma comunque all’interno del range comune. È interessante notare che un livello di magnesio > 935 μmol/L è stato trovato come un potenziale fattore protettivo indipendente contro il cancro papillare alla tiroide. Basandosi su questi risultati, è necessario condurre ulteriori studi per esplorare il potenziale ruolo protettivo del magnesio contro il cancro alla tiroide e stabilire linee guida per prevenirne la carcinogenesi. Confrontando donne in età premenopausale e postmenopausale, i ricercatori hanno osservato una significativa diminuzione del magnesio nelle donne postmenopausali. C’è una relazione indiretta tra magnesio e livelli di ormoni tiroidei, in particolare con i livelli di TSH. Lo sviluppo di ipomagnesemia può essere uno dei fattori che contribuiscono allo sviluppo di disordini tiroidei nel periodo postmenopausale. Tuttavia, alte dosi di magnesio possono aumentare l’attività tiroidea.
VITAMINA A
La relazione tra vitamina A e la funzione tiroidea è un argomento di grande interesse scientifico, grazie alla complessa interazione tra questi due elementi essenziali per la salute umana. La vitamina A, un micronutriente liposolubile, svolge ruoli critici in vari processi fisiologici, tra cui la visione, la funzione immunitaria, la riproduzione e la crescita e differenziazione cellulare. Nel contesto della funzione tiroidea, le evidenze emergenti suggeriscono che lo stato della vitamina A possa influenzare profondamente l’omeostasi della ghiandola tiroidea attraverso molteplici meccanismi. La carenza di vitamina A (VAD) è stata implicata nel danneggiamento della ghiandola tiroidea, in particolare quando associata alla carenza di iodio (ID).
Studi hanno evidenziato il ruolo della vitamina A nel modulare la sensibilità delle cellule tiroidee al TSH, un regolatore chiave della funzione tiroidea. In particolare, è stato dimostrato che la vitamina A influenza l’espressione dei geni coinvolti nelle vie di segnalazione del recettore TSH, influenzando così la produzione e la secrezione degli ormoni tiroidei. La vitamina A sembra anche modulare il metabolismo periferico degli ormoni tiroidei, inclusa la conversione di T4 nel più attivo ormone T3. È importante notare che l’interazione tra vitamina A e funzione tiroidea va oltre la regolazione ormonale, comprendendo anche il ruolo delle proteine di trasporto come la transtiretina (TTR). La vitamina A si lega alla proteina legante il retinolo (RBP) per formare un complesso che interagisce con la TTR, una proteina carrier sia per il retinolo che per gli ormoni tiroidei nel sangue. Gli studi hanno suggerito che i cambiamenti nello stato della vitamina A possano influenzare la capacità di legame e l’affinità della TTR per gli ormoni tiroidei, influenzando potenzialmente il loro trasporto e la loro distribuzione nel corpo. Inoltre, la vitamina A svolge un ruolo cruciale nella modulazione delle funzioni immunitarie, in particolare attraverso la regolazione delle cellule T regolatorie (Treg) e di vari citochine. La disfunzione immunitaria e le alterazioni nella composizione del microbiota intestinale sono state implicate nella patogenesi delle AITD. Polimorfismi in geni come CYP26B1 e RAR sono associati alla gravità delle HTs e alla polarizzazione Th17, indicando un potenziale ruolo della vitamina A nella modulazione delle risposte immunitarie in questa condizione. La disbiosi nelle HTs influisce sull’assorbimento dei nutrienti e contribuisce all’autoimmunità, suggerendo un ruolo regolatorio della vitamina A nel mantenimento dell’integrità della barriera intestinale e nell’influenzare la patogenesi delle HTs.
In sintesi, la relazione tra vitamina A e funzione tiroidea è complessa e multifattoriale, coinvolgendo intricate interazioni molecolari e vie fisiologiche. Sebbene siano stati compiuti progressi considerevoli nel chiarire il ruolo della vitamina A nell’omeostasi tiroidea, molte domande rimangono senza risposta. Gli sforzi di ricerca futuri dovrebbero mirare a trovare un’associazione tra vitamina A, RBP e TTR, e il loro impatto sul trasporto e la distribuzione degli ormoni tiroidei nel corpo, nonché sul potenziale della supplementazione di vitamina A nei pazienti con disordini tiroidei.
VITAMINA B12
La vitamina B12, nota anche come cobalamina, svolge un ruolo cruciale nella funzione tiroidea e nella salute metabolica complessiva. È essenziale per la sintesi degli ormoni tiroidei e per il metabolismo. Le fonti alimentari ricche di vitamina B12 includono alimenti di origine animale come carne, pesce, uova e latticini. La carenza di vitamina B12 contribuisce anche alle AITD, come la tiroidite di Hashimoto (HTs), poiché questa vitamina gioca un ruolo fondamentale nella funzione immunitaria e nella sua regolazione. Un recente studio ha dimostrato che il livello di vitamina B12 mostra una correlazione significativa con AITD. Pertanto, valutare la concentrazione di vitamina B12 nei pazienti con AITD è essenziale, poiché serve come test diagnostico con alta sensibilità e buona specificità. La vitamina B12 svolge anche un ruolo cruciale nel far fronte a sfide specifiche affrontate dai pazienti con HTs, come il rischio di anemia, che può essere aumentato dalla coesistenza di condizioni autoimmuni come l’anemia perniciosa o la gastrite atrofica. La ricerca che ha coinvolto 130 pazienti diagnosticati con ipotiroidismo autoimmune ha rivelato che il 46% di loro aveva una carenza di vitamina B12, che era correlata alla presenza della malattia. Inoltre, i pazienti con livelli bassi di vitamina B12 mostravano livelli significativamente più elevati di TPOAb, indicando una correlazione negativa tra vitamina B12 e gli anticorpi TPOAb. Studi condotti su pazienti con AIT hanno trovato che una percentuale considerevole aveva livelli di vitamina B12 sierica al di sotto della gamma di riferimento, sebbene non ci fosse una correlazione significativa tra B12 e TPOAb. Inoltre, uno studio che confrontava i pazienti positivi per TgAb o TPOAb con i controlli sani ha rivelato una frequenza maggiore di carenza di emoglobina, ferro o vitamina B12 tra i pazienti, evidenziando la necessità di ulteriori indagini sul rischio di carenza di vitamina B12 nei pazienti con Hts. Ciò suggerisce che lo screening per anemia e carenza di vitamina B12 nei pazienti con ipotiroidismo è importante.
NUTRIZIONE, MICROBIOTA INTESTINALE E FUNZIONE DELLA TIROIDE
Il microbiota intestinale gioca un ruolo fondamentale nel regolare il metabolismo e l’equilibrio energetico, estraendo nutrienti dal cibo e producendo metaboliti che possono influenzare i processi metabolici dell’ospite. Numerosi studi hanno illustrato che modifiche dietetiche possono alterare significativamente la composizione del microbiota. La flora batterica intestinale è essenziale per mantenere l’omeostasi metabolica, nutrizionale e anche immunologica. La nascente ipotesi dell’asse tiroide-intestino suggerisce che il microbiota intestinale, costituito da trilioni di microrganismi che abitano il tratto gastrointestinale, possa influenzare la funzione tiroidea tramite vari meccanismi. Oltre a influenzare l’assorbimento di minerali essenziali per la funzione tiroidea, come iodio, selenio, zinco e ferro, il microbiota è coinvolto nel metabolismo degli ormoni tiroidei, sia endogeni che esogeni. Un esempio rilevante è la presenza della iodotironina deiodinasi, un enzima trovato nella parete intestinale, che è responsabile della conversione della tiroxina (T4) nella sua forma attiva, triiodotironina (T3), o nella reverse T3 (rT3). Questo enzima influenza i livelli totali di T3 nel corpo, collegando direttamente la salute intestinale alla funzione tiroidea.
DISRUPTORI ENDOCRINI (EDCS) E MICROBIOTA INTESTINALE
L’esposizione agli disruptori endocrini (EDCs) può modificare la composizione del microbiota intestinale, portando a cambiamenti nel metabolismo energetico e nell’aumento di peso. Durante i primi 1000 giorni di vita, il latte materno rappresenta una fonte primaria di esposizione agli EDCs per i neonati. Questi composti, metabolizzati e accumulati nel corpo umano, sono stati rilevati nel latte materno, nel siero, nei capelli e nella placenta. Il circolo entero-mammario è ritenuto facilitare il trasferimento di questi composti dal flusso sanguigno materno ai neonati tramite il latte materno. Tra gli EDCs più comuni nel latte materno ci sono ftalati (come DEHP e DINP) e Bisfenolo A (BPA). L’esposizione materna agli EDCs può essere influenzata da vari fattori come stile di vita, residenza, occupazione e il tipo di prodotti personali utilizzati. La ricerca suggerisce che una maggiore esposizione agli EDCs possa stimolare la crescita di specie microbiche patogene, influenzando potenzialmente la salute tiroidea e contribuendo a disturbi tiroidei. Una revisione ha evidenziato il ruolo del microbiota nel metabolizzare gli EDCs, portando alla disbiosi e alterando i percorsi coinvolti nelle malattie metaboliche, incluso il malfunzionamento tiroideo.
DIETA E INFLUENZA DEL MICROBIOTA INTESTINALE SULL’EPIGENETICA E FUNZIONE TIROIDEA
La dieta gioca un ruolo multifattoriale nel collegare l’epigenoma, la funzione tiroidea e il microbiota intestinale, esercitando effetti sia diretti che indiretti su ciascuno di questi sistemi. Le modifiche epigenetiche possono influenzare l’espressione di geni coinvolti nella sintesi, nel metabolismo e nelle vie di segnalazione degli ormoni tiroidei, plasmando la funzione tiroidea e la risposta agli ormoni. Il microbiota intestinale produce metaboliti, come gli acidi grassi a catena corta (SCFAs), che possono influenzare le modifiche epigenetiche nelle cellule dell’ospite. Ad esempio, è stato dimostrato che questi metaboliti modulano l’acetilazione degli istoni e la metilazione del DNA, influenzando potenzialmente il metabolismo e la segnalazione degli ormoni tiroidei. I nutrienti donatori di metile come folato e vitamina B12, presenti in alimenti come verdure a foglia verde, fagioli, piselli, lenticchie e cereali, sono coinvolti nella metilazione del DNA e nel rimodellamento della cromatina, processi epigenetici fondamentali. Pertanto, consumare una dieta ricca di nutrienti donatori di metile potrebbe promuovere una salute tiroidea ottimale.
Allo stesso modo, i polifenoli contenuti in frutta, verdura e tè hanno mostrato di modulare le modifiche degli istoni, offrendo un approccio preventivo per i disturbi tiroidei. Al contrario, gli ormoni tiroidei possono anche influenzare la composizione e la funzione del microbiota intestinale. I recettori degli ormoni tiroidei sono espressi sia nell’epitelio intestinale che nelle cellule immunitarie, suggerendo un ruolo diretto degli ormoni tiroidei nella fisologia intestinale e nella funzione immunitaria.
PROBIOTICI E SALUTE TIROIDEA
La supplementazione con probiotici ha mostrato effetti positivi sui livelli degli ormoni tiroidei e sulla funzione tiroidea, probabilmente ripristinando l’equilibrio intestinale e promuovendo la crescita di microrganismi benefici. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che sia necessaria ulteriori ricerche, in particolare nel campo pediatrico, riguardo all’interazione tra microbiota e malattie autoimmuni della tiroide (AITD).
Educare i pazienti sull’associazione tra salute intestinale e funzione tiroidea può promuovere strategie per migliorare il microbiota intestinale, specialmente nelle donne in gravidanza e nei neonati. Questo è particolarmente importante per prevenire potenziali disfunzioni tiroidee che potrebbero derivare da problemi intestinali o da squilibri dietetici. Inoltre, c’è un forte bisogno di ulteriori studi sperimentali per valutare i potenziali benefici degli interventi nutrizionali nei pazienti con tiroidite di Hashimoto (HTs).
I principali punti chiave degli studi attuali suggeriscono che:
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Iodio: è essenziale per la sintesi degli ormoni tiroidei ed è benefico per la prevenzione dei disturbi tiroidei;
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Selenio: può ridurre gli autoanticorpi tiroidei e migliorare la funzione tiroidea, sebbene sia necessaria una monitoraizone attenta;
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Individui ipotiroidici: dovrebbero essere valutati per anemia, deficienza di ferro e vitamina B12;
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Vitamina D: la supplementazione potrebbe essere utile per i pazienti con tiroidite di Hashimoto;
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Zinco: è consigliato valutare i livelli di zinco nei soggetti con ingrandimento tiroideo;
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Rame e magnesio: dovrebbero essere studiati per il loro potenziale ruolo protettivo contro il cancro tiroideo;
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Vitamina A: è importante studiarla per il trattamento della tiroidite autoimmune.
La nutrizione e il microbiota intestinale possono influenzare la funzione tiroidea modulando le risposte immunitarie, producendo metaboliti microbici, influenzando l’assorbimento dei nutrienti e modificando i processi epigenetici che regolano la sintesi e il metabolismo degli ormoni tiroidei, contribuendo così allo sviluppo di malattie tiroidee o proteggendo da esse. Una nutrizione equilibrata è essenziale per mantenere una funzione tiroidea sana e ottimale. L’asse dieta-microbiota-intestino dovrebbe essere preso in considerazione per la possibilità di modulare la salute del microbiota intestinale e della tiroide.
BIBLIOGRAFIA
Shulhai, A.-M.; Rotondo, R.; Petraroli, M.; Patianna, V.; Predieri, B.; Iughetti, L.; Esposito, S.; Street, M.E. “The Role of Nutrition on Thyroid Function” Nutrients 2024, 16, 2496.




