Il fenomeno della supercompensazione, fu descritta per la prima volta da Folbrot nel 1941 e successivamente fu discussa da Hans Selye, che l’ha definita, sindrome di adattamento generale. Questi concetti suggeriscono che per ottenere adattamenti all’allenamento, i carichi di allenamento, volumi di allenamento e specificità bioenergetica, devono essere alternati. La supercompensazione, quindi, è una relazione tra lavoro e rigenerazione, che porta ad un adattamento fisico superiore nonché metabolico e neuropsicologico. La supercompensazione ha molti vantaggi:
1. Aiuta l’atleta a gestire lo stress e ad affrontare intensità di allenamento elevate.
2. Aiuta gli allenatori a creare sistemi di allenamento strutturati
3. Evita l’insorgenza di livelli critici di affaticamento e sovrallenamento
4. Rende l’allenatore consapevole della necessità di alternare l’intensità per facilitare i migliori adattamenti
Quando gli atleti si allenano, sono esposti a una serie di stimoli che ne alterano la fisiologia. Queste risposte fisiologiche possono includere: alterazioni ormonali, energetiche, cardiovascolari, neuromuscolari e cellulari. Queste risposte all’allenamento sono mitigate dal volume, l’intensità, la frequenza e il tipo di allenamento svolto dall’atleta. Maggiore è il volume, l’intensità o la durata dell’allenamento, maggiori sono le risposte fisiologiche. Le risposte fisiologiche acute a una sessione di allenamento comportano l’accumulo di fatica, che può manifestarsi come l’incapacità di produrre o mantenere la massima produzione di forza volontaria. Anche il periodo post-esercizio è associato a una riduzione delle riserve di glicogeno muscolare, accumulo di acido lattico, riduzioni di riserve della PCr e un aumento del cortisolo circolante. Queste risposte fisiologiche riducono temporaneamente le prestazioni dell’atleta. Dopo la sessione di allenamento, l’atleta deve dissipare la fatica, ripristinare le riserve energetche dei muscoli e il recupero sarà influenzato da molti fattori, tra cui lo stato di allenamento dell’atleta, il tipo di contrazione muscolare riscontrato durante la sessione di allenamento e lo stato nutrizionale dell’atleta. La fatica indotta dall’esercizio si traduce in un brusco calo dell’omeostasi dell’atleta, che è abbinata a una riduzione della capacità funzionale. Il ritorno all’omeostasi è lento e progressivo, che richiede da alcune ore a diversi giorni.
Se il tempo tra le sessioni di lavoro è sufficiente, il corpo dissipa la fatica e ripristina il suo status energetico, permettendo la supercompensazione. Ogni volta che si verifica una supercompensazione, l’atleta stabilisce un nuovo aumento del livello omeostatico con benefici positivi per prestazioni. Se l’intervallo tra due stimoli è troppo lungo, la supercompensazione svanirà, portando a involuzione, o ad una regressione della capacità prestazionale.
IL CICLO DI SUPERCOMPENSAZIONE È COMPOSTO DA 4 FASI CHE SI SUSSEGUONO IN SEQUENZA
Fase I (della durata di 1 o 2 ore):
Dopo l’allenamento, il corpo sperimenta affaticamento. La fatica indotta dall’esercizio si verifica tramite uno dei due meccanismi centrali o periferici. La fatica è un fenomeno multidimensionale causato da diversi fattori:
– Riduzioni dell’attivazione neurale del muscolo, associato con affaticamento centrale.
– L’affaticamento centrale indotto dall’esercizio fisico può anche aumentare i livelli di serotonina cerebrale, che può portare ad affaticamento mentale. L’affaticamento mentale, può influenzare la tolleranza dell’atleta agli allenamenti o competizioni.
– L’esercizio fisico può provocare alterazioni della propagazione del segnale nervoso a livello neuromuscolare, alterata gestione del Ca2 + da parte del reticolo sarcoplasmatico e altri fattori che interrompono il processo contrattile, causati dall’affaticamento periferico.
– L’utilizzo del substrato indotto dall’esercizio, tra i quali glicogeno muscolare e depositi di fosfocreatina, possono essere significativamente ridotti in risposta all’allenamento. Le riserve di fosfocreatina, possono essere ridotte in meno di 5-30 secondi e possono essere completamente
esaurito dopo un lavoro più prolungato.
La letteratura contemporanea suggerisce che il fosfato inorganico (Pi), che si forma dalla rottura del PCr, piuttosto che l’acidosi, possa essere la causa principale di affaticamento muscolare che si verifica in risposta all’esercizio fisico.
– Aumento delle concentrazioni di fosfato, che sembrano influenzare la gestione del calcio del reticolo sarcoplasmatico, può anche diminuire la sensibilità miofibrillare al calcio, causando deficit di forza.
– Durante un esercizio prolungato vi è un aumento dell’assorbimento del glucosio nonostante una diminuzione della quantità di insulina circolante. Si ritiene che l’assunzione di glucosio durante l’esercizio fisico, aumenti a causa della maggiore espressione del GLUT4.
Fase II (della durata di 24 o 48ore):
Non appena termina l’allenamento, inizia la fase di compensazione (riposo). Durante la fase di compensazione si verifica quanto segue:
– Entro 3-5 minuti dalla fine dell’esercizio, le riserve di ATP sono completamente ripristinate e entro 8 minuti la PCr è completamente resintetizzato. Allenamenti ad altissima intensità, possono richiedere fino a 15 minuti per il recupero della PCr.
– Il glicogeno muscolare di solito viene riportato ai livelli basali entro 20-24 ore. Se si verificano danni muscolari estesi, è necessario più tempo per il recupero. La velocità con cui viene ripristinato il glicogeno muscolare è direttamente correlata alla quantità di carboidrati consumata durante il periodo di compensazione.
– Un aumento del consumo di ossigeno dopo l’esercizio, noto come (EPOC), si verifica dopo aver svolto un allenamento di alta intensità. A seconda della modalità e dell’intensità dell’esercizio fisico, l’EPOC può rimanere elevato per 24-38 ore dopo l’esercizio.
– Il dispendio energetico a riposo è elevato a seguito di un allenamento di forza e può perdurare dalle 15 alle 48 ore a seconda dell’allenamento.
Sebbene l’esatto meccanismo di questo incremento della spesa non è del tutto noto, alcuni autori hanno suggerito che vi è un aumento della sintesi proteica, aumento della termogenesi e aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico, i quali intervengono nel ristabilire l’omeostasi.
– 4 ore dopo l’esercizio fisico il tasso di sintesi proteica muscolare aumenta del 50% e dopo 24 ore, del 109%. Il tasso di resintesi proteica ritorna al basale dopo 36 ore.
Pertanto, si ritiene che questa fase del ciclo di supercompensazione, sia l’inizio della fase anabolica.
Fase III (della durata di 36 o 72 ore):
– La capacità di generare forza e l’indolenzimento muscolare sono tornati ai valori di base, 72 ore dopo l’esercizio.
– Si verifica una supercompensazione psicologica, che può essere contrassegnata da un’elevata fiducia, sensazione di recupero energetico, pensiero positivo e capacità di far fronte a frustrazioni e stress dell’allenamento.
– I depositi di glicogeno sono completamente riprstinati.
Fase IV (della durata di 3-7 giorni):
Se l’atleta non applica un altro stimolo al momento giusto (durante la supercompensazione), si verifica l’involuzione, che è una diminuzione degli effetti fisiologici ottenuti durante la fase di supercompensazione. Ad esempio, a seguito di una sessione di allenamento aerobico di media intensità, la supercompensazione può verificarsi dopo circa 6-8 ore. D’altra parte, un’attività più intensa, che pone una forte domanda sul sistema nervoso centrale, può richiedere anche più di 24 ore, a volte fino a 48 ore di supercompensazione. Atleti d’élite che seguono programmi di allenamento che non consentono 24 ore di recupero tra le sessioni, non hanno supercompensazioni dopo ogni sessione di allenamento, perché devono intraprendere un secondo allenamento.
Come suggerito nella figura 1.10, il tasso di miglioramento è maggiore quando gli atleti partecipano in sessioni di allenamento più frequenti. Quando esistono lunghi intervalli tra gli allenamenti, come quando l’allenamento viene eseguito tre volte alla settimana (figura 1.10a), l’atleta sperimenterà un miglioramento complessivo inferiore rispetto a sessioni di allenamento più frequenti (figura 1.10b). Se l’atleta è esposto a sessioni di allenamento ad alta intensità troppo frequentemente, la capacità del corpo di adattarsi agli stimoli di allenamento sarà notevolmente compromessa e può verificarsi il sovrallenamento (figura 11 sopra), con conseguente riduzione della performance. All’aumentare della fatica, l’atleta richiederà più tempo di recupero. Pertanto, la pratica migliore è quella di intercalare le sessioni di allenamento di minore intensità nel piano di allenamento, in modo che possa verificarsi una supercompensazione. Mentre l’atleta si adatta all’allenamento, saranno raggiunti nuovi livelli di omeostasi e saranno richiesti livelli di allenamento più elevati per migliorare. Mentre l’atleta si adatta a nuovi e più alti livelli di allenamento, inizierà un nuovo ciclo di supercompensazione (figura 1.13). Al contrario, se l’intensità dell’allenamento non è pianificata bene, la curva di compensazione non supererà i livelli precedenti di omeostasi e l’atleta non beneficerà della supercompensazione (figura 1.14). Alti livelli di affaticamento derivanti da un’intensità continua o troppo frequente, attenuerà gli effetti della supercompensazione e impedirà all’atleta di raggiungere le massime prestazioni.
Una buona pianificazione deve prendere in considerazione la supercompensazione, poiché la sua applicazione aiuta gli atleti a evitare livelli critici di affaticamento. Per condurre un programma di formazione efficace, occorre comprendere i sistemi energetici e il tempo necessario agli atleti per ripristinare il substrato energetico utilizzato in allenamento e in competizione. Una buona conoscenza dei tempi di recupero, è la base per il calcolo degli intervalli di riposo tra gli allenamenti o dopo una competizione.
BIBLIOGRAFIA
Bompa, Tudor O. “Periodization: theory and methodology of training” Tudor O. Bompa, G. Gregory Haff. –5th ed. 2009