Endurance: I Fattori Muscolari Determinanti

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Già nel 1925, si riconobbe che la stanchezza, era la componente alla base del calo della velocità, all’aumentare della distanza percorsa (Hill, 1925). Lo studioso ipotizzò, che le prestazioni fossero determinate da fattori fisiologici relativi ai costi energetici, alle richieste di ossigeno e alla fornitura / debito di ossigeno (o economia di corsa). Quasi un secolo dopo, Joyner e Coyle (2008) hanno evidenziato l’importanza che riveste l’assorbimento di ossigeno (VO2max), la soglia del lattato e l’efficienza/economia nelle prestazioni di resistenza. Il VO2max e la soglia del lattato, interagiscono nel determinare per quanto tempo, un determinato metabolismo aerobico e anaerobico, può essere sostenuto, mentre l’efficienza descrive la velocità o la potenza che può essere raggiunta con una data quantità del consumo di energia (Joyner e Coyle, 2008). La (prima) soglia del lattato discrimina l’intensità moderata da un’intensità pesante e può essere determinata dallo scambio di gas e/o misurazioni del lattato nel sangue.

DETERMINANTI DELLA PRESTAZIONE DI ENDURANCE

Discutendo la fisiologia dello sport, Joyner e Coyle (2008) suggeriscono che i diversi fattori antropometrici, cardiaci e le caratteristiche dei muscoli scheletrici, sono alla base delle prestazioni di resistenza. In particolare, le proprietà del muscolo scheletrico, potrebbero spiegare le differenze, ad esempio il tipo di fibra muscolare, l’area della sezione trasversale, densità o funzione del volume mitocondriale e capillarizzazione. I ricercatori negli anni ’70 e ’80 hanno scoperto che i corridori di lunga distanza, i vogatori, i nuotatori e i kayakisti, avevano prevalentemente fibre muscolari lente di tipo I (70-80%), in proporzione maggiore rispetto ai pattinatori di velocità su lunga distanza, media distanza corridori, sciatori e ciclisti (50–60%), saltatori e lanciatori (40–50%), sollevatori di pesi, lottatori, sollevatori di potenza, e pattinatori di velocità sprint (25–45%) o corridori di sprint (25%). La letteratura recente ha confermato che un corridore di sprint ha solo una percentuale limitata di fibre di tipo I (29%), ma possiede un’alta percentuale di fibre di tipo II. Mentre i ciclisti su strada, hanno una percentuale maggiore di fibre di tipo I (65–75%), simile a quella di altri atleti di resistenza. Dato il fatto che le proporzioni elevate delle fibre di tipo I, dimostrano una maggiore efficienza meccanica, una percentuale maggiore di fibre di tipo I, porterebbe a una maggiore efficienza e quindi contribuirebbe a una migliore performance di resistenza.

AREA DELLA SEZIONE TRASVERSALE DELLE FIBRE MUSCOLARI

L’area della sezione trasversa delle fibre muscolari (FCSA) contribuisce al produzione di forza, ed è regolata dall’equilibrio tra sintesi e degradazione proteica. Negli esseri umani, l’area di sezione trasversa, è generalmente più piccola nelle fibre di tipo I rispetto alle fibre di tipo II (Gollnick et al., 1972; Costill et al., 1976). Tuttavia, l’area relativa che è occupata dalle fibre di tipo I è maggiore rispetto alle fibre di tipo II. Questo paradosso, della dimensione della fibra muscolare, può spiegare che vi è una relazione inversa tra area della sezione trasversa e capacità ossidativa della fibra muscolare. L’immagine di sotto, illustra un compromesso che rende difficile l’ottimizzazione simultanea dell’area trasversa del muscolo e capacità ossidativa delle fibre muscolari.

CAPACITÀ OSSIDATIVA MITOCONDRIALE

La capacità ossidativa delle fibre muscolari assomiglia a quella dei mitocondri nel fornire ATP utilizzando l’ossigeno, il che fornisce l’energia necessaria per sostenere un esercizio prolungato. All’interno del mitocondri, l’energia viene fornita dalla fosforilazione ossidativa, costituita da complessi che formano la catena respiratoria e l’ATP sintasi. I ricercatori hanno esaminato l’enzima aerobico che attiva questi complessi e gli enzimi di supporto nel ciclo di Krebs (ad esempio, succinato deidrogenasi, citocromo c ossidasi, citrato sintasi), così come la densità di volume mitocondriale e la stessa localizzazione dei mitocondri nei muscoli (Hoppeler et al., 1973; Ørtenblad et al., 2018). La capacità ossidativa mitocondriale totale può essere stimata per singole fibre muscolari utilizzando l’istochimica quantitativa di uno degli enzimi aerobici, ovvero la succinato deidrogenasi (SDH), un enzima nel ciclo di Krebs e nel complesso II del trasporto degli elettroni. Anche se l’enzima non limita la velocità di flusso attraverso il ciclo di Krebs, la succinato deidrogenasi, è proporzionale al VO2max.

CAPILLARIZZAZIONE

La capacità di apporto di ossigeno alle fibre muscolari, è fondamentale per sostenere le prestazioni di endurance. Gli atleti di queste discipline hanno una capillarizzazione ben sviluppata, mostrando un numero elevato di capillari intorno alla fibra e una maggiore densità di capillari. Un’elevata capillarizzazione, è associata ad un VO2max elevato (Saltin et al., 1977; Ingjer, 1978). È importante sottolineare che la capillarizzazione può essere un fattore rilevante nel determinare la performance.

MIOGLOBINA

Oltre alla capillarizzazione, anche la mioglobina contribuisce alla fornitura di ossigeno muscolare, poiché trasporta l’ossigeno all’interno delle fibre. La mioglobina è del 50% in più, nelle fibre muscolari di tipo I, rispetto alle fibre muscolari di tipo II. Di particolare interesse è l’interazione tra mioglobina e capillarizzazione, e come, una loro combinazione, porta ad una maggiore varianza nelle prestazioni di endurance, rispetto ad avere solo uno dei due fattori. Questi risultati evidenziano il valore che ha la mioglobina e la sua rilevanza per il sostenimento della performance.

STOCCAGGIO DI GLICOGENO MUSCOLARE

Il glicogeno è un substrato essenziale per il metabolismo muscolare durante esercizio di endurance (Knuiman et al., 2015), ed è risaputo che anche la deplezione di glicogeno, è fortemente associata all’affaticamento muscolare e quindi, ad una scarsa capacità di mantenimento dello sforzo fisico.

UNA PROSPETTIVA INTEGRATIVA

Occorre capire che nessun singolo fattore è determinante oppure in grado di spiegare da solo, le diversità nelle prestazioni di resistenza. La combinazione di VO2 ed efficienza, potrebbe spiegare il 90% della diversità nella performance. Le prestazioni del consumo di ossigeno, sono spiegate da una combinazione tra, prima soglia di lattato e VO2max (circa l’86%; dati di van der Zwaard et al., 2018b). Inoltre, la combinazione di efficienza, VO2max e soglia del lattato, potrebbe spiegare il 75% della diversità. Ciò sottolinea l’importanza che riveste la capacità ossidativa e l’apporto di ossigeno, per sostenere le prestazioni. Pur confermando l’importanza dell’apporto di ossigeno e della capacità ossidativa, questi risultati rivelano anche che, l’architettura muscolare (es. l’area della sezione trasversale), può aggiungere un prezioso approfondimento sulle prestazioni di resistenza. La letteratura suggerisce che un muscolo più voluminoso, può aiutare, se l’apporto di ossigeno verso il muscolo, attraverso la capillarizzazione e il contenuto di mioglobina, è ben sviluppato (van der Zwaard et al., 2018a, b). In sintesi, una valutazione integrativa delle prestazioni di resistenza, punta verso l’ottimizzazione delle fibre di tipo I, le quali hanno un’elevata capacità ossidativa mitocondriale. Ciò permette lo sviluppo della capillarizzazione, insieme a concentrazioni maggiori di mioglobina, tali da accogliere il flusso di ossigeno richiesto durante la performance.

ADATTAMENTI ALL’ALLENAMENTO DI ENDURANCE

L’allenamento di resistenza cambia i rapporti di velocità/potenza/durata, consentendo agli atleti di eseguire una determinata distanza più velocemente o sostenere una data velocità più a lungo. In quanto tale, l’allenamento di resistenza gioca un ruolo centrale nell’ambito della fisiologia dell’esercizio, con metodi di allenamento che facilitano gli adattamenti, in risposta a intensità, durata, frequenza e periodizzazione dell’allenamento. Ad esempio, l’allenamento polarizzato, costituito prevalentemente da esercizi a bassa intensità, di lunga durata, può essere un allenamento che, insieme ad un allenamento ad alta intensità, può migliorare la performance di endurance (Stöggl e Sperlich, 2014; Tønnessen et al., 2014), grazie alla segnalazione cellulare adattiva più elevata, una migliore espressione genica e migliori risposte allo stress (Seiler, 2010). Questi percorsi includono spesso, un’attività contrattile sostenuta per lunghi periodi di esercizio e ciò induce un rilascio cronico di calcio, che aumenta l’AMPK, la fosforilazione della PGC-1a e lo stress ossidativo, innescando adattamenti mitocondriali (Hood, 2001; Egan e Zierath, 2013). Prove recenti suggeriscono che un’intensità troppo alta, può anche influenzare negativamente gli adattamenti mitocondriali (Granata et al., 2020; Cardinale et al., 2021; Flockhart et al., 2021). Quindi, l’allenamento polarizzato può avere un vantaggio in quanto alterna esercizi a bassa e alta intensità per massimizzare adattamenti mitocondriali. Per beneficiare di questa maggiore capacità ossidativa, l’ossigeno deve soddisfare la richiesta muscolare, il che richiede adattamenti nella densità capillare e/o del contenuto di mioglobina. L’esercizio ad alta intensità, può indurre a livello locale un’ipossia tissutale, che porta alla stabilizzazione di fattori di trascrizione HIF-1a, il quale aumenta la trascrizione di geni per la crescita capillare (Lundby et al., 2009; Egan e Zierath, 2013). Prove crescenti supportano che vi sono adattamenti favorevoli, soprattutto utilizzando l’allenamento polarizzato a bassa intensità, in quanto potrebbe portare ad una leggera degradazione di proteine muscolari, rendendo il muscolo più piccolo, ma migliorando la diffusione di ossigeno ai mitocondri. Adattamenti favorevoli riguardano: miglioramenti nel reclutamento delle unità motorie, nella frequenza di attivazione, una maggiore massa muscolare attiva, una migliore coordinazione intra e intermuscolare, ma anche una maggiore rigidità dell’unità muscolo-tendinea ed efficienza nella biomeccanica. In sintesi, l’ottimizzazione delle prestazioni di resistenza richiede un’attenta progettazione degli allenamenti, che modulino attentamente l’intensità, frequenza e durata dell’esercizio, rispettando i determinanti muscolari di ogni singolo individuo.

BIBLIOGRAFIA

van der Zwaard S, Brocherie F and Jaspers RT (2021) “Under the Hood: Skeletal Muscle Determinants of Endurance Performance” Front. Sports Act. Living 3:719434.

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Dott. Fabio Perna

Chinesiologo Clinico (Specialista in Esercizio Fisico Adattato). Aree di interesse: Osteoporosi - Cardiopatie - Recupero Motorio Post-riabilitativo - Rieducazione Posturale - Malattie Metaboliche (Diabete Mellito, Sindrome Metabolica, Obesità) Consulenza: dott.fabioperna@gmail.com

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