Benefici del protocollo H.I.I.T. Nella Riabilitazione Cardiaca

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La riabilitazione cardiaca (CR) basata sull’esercizio fisico adattato, è una raccomandazione di classe 1A per i soggetti con malattie cardiovascolari (CVD) e insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), in quanto porta a miglioramenti significativi nella capacità di esercizio, nella riduzione del rischio di recidive e mortalità. Attualmente non c’è consenso internazionale sulla prescrizione dell’esercizio fisico o sulla durata di un programma di riabilitazione cardiaca, e le raccomandazioni sull’intensità dell’esercizio variano considerevolmente tra i paesi [ad esempio si consiglia un’intensità lieve-moderata (Australia, Giappone), intensità moderata (Regno Unito, Francia) e moderatamente vigorosa (Canada, Stati Uniti, Sud America e altri paesi europei)]. C’è bisogno quindi, di definire a livello internazionale, gli standard di prescrizione ottimali. I metodi oggettivi per la determinazione dell’intensità dell’esercizio, includono indici della massima capacità di esercizio, soglie ventilatorie, soglia anaerobica o soglia miocardica ischemica. Questi metodi richiedono la disponibilità di un test da sforzo massimale, preferibilmente con analisi dei gas cardiopolmonari basate sul picco di assorbimento di ossigeno (VO2peak) e/o soglie ventilatorie. Nei programmi dove questo non è possibile, si consiglia di utilizzare le misure soggettive dell’intensità dell’esercizio, come lo sforzo percepito (RPE) o il talk test (TT).

La maggior parte delle linee guida sull’allenamento in riabilitazione cardiaca, raccomandano la prescrizione di esercizi aerobici basati su: la percentuale del carico di lavoro di picco (Wpeak), percentuale della frequenza cardiaca di picco (%FCpeak), percentuale di VO2picco (%VO2picco), percentuale della frequenza cardiaca di riserva FC (%HRR), o percentuale di riserva VO2 (%VO2R).

SOGLIE VENTILATORIE

Un approccio alternativo all’utilizzo degli indici di picco di esercizio, consiste nel mettere in relazione l’intensità dell’esercizio con le soglie ventilatorie. Questo approccio richiede l’analisi del gas cardio-polmonare ed il metodo più comunemente usato. La nomenclatura di queste soglie rimane controversa e le metodologie per valutarle non lo sono universalmente accettate. La prima soglia ventilatoria (VT1) (anche denominata soglia anaerobica) è ampiamente conosciuta, e rappresenta il passaggio da un metabolismo prevalentemente aerobico ad a punto in cui il lattato nel sangue inizia ad accumularsi maggiormente, e quindi è necessario fare affidamento sul metabolismo anaerobico per mantenere la produzione di energia. A questo punto, la ventilazione (VE) accelera per controbilanciare ed eliminare l’eccesso di anidride carbonica (CO2) nel sangue prodotto durante la conversione dell’acido lattico a lattato. La seconda soglia ventilatoria (VT2) (anche chiamato punto di compensazione respiratoria) rappresenta l’intensità dell’esercizio alla quale il lattato si accumula rapidamente nel sangue, e la CO2 in eccesso non può più essere eliminata, così si verifica un aumento sproporzionato di ventilazione, rispetto alla produzione di CO2. Ci sono diversi svantaggi nell’utilizzo della soglia, per la prescrizione dell’esercizio, perché ci possono essere sostanziali variabilità e poi la riproducibilità della VT2 non è ben standardizzata nei soggetti con malattie cardiache. Inoltre, le soglie non possono essere tradotte direttamente in intensità di esercizio, a causa della cinetica del VO2 rallentata e del ritardo nella risposta del VO2 all’esercizio.

Linee guida recenti hanno suggerito che ove disponibile, dovrebbero essere determinati almeno il picco di Vo2 e di frequenza cardiaca, da un test da sforzo cardiopolmonare massimale. Se il test da sforzo massimale non è fattibile, si può usare una nuova equazione predittiva combinando età e FC misurate durante un test di camminata veloce di 200m, il quale ha mostrato una buona correlazione con la frequenza cardiaca di picco.

INFLUENZA DELL’INTENSITÀ DELL’ESERCIZIO SULLE PATOLOGIE CARDIACHE

Numerosi studi hanno dimostrato che l’esercizio di maggiore intensità, può indurre maggiori benefici per la salute rispetto ad un allenamento di un’intensità bassa o moderata. Inoltre, i benefici dell’esercizio ad alta intensità, possono essere raggiunti in un tempo sostanzialmente inferiore. Studi hanno dimostrato che l’attività vigorosa, ha un relazione dose-risposta inversamente proporzionale con la mortalità. Infine hanno anche mostrato un’associazione inversa tra l’intensità dell’esercizio e l’incidenza di malattia coronarica.

L’idoneità cardio-respiratoria (valutata come VO2 di picco) riflette la capacità di trasportare ossigeno, e ciò include la funzione polmonare, la funzione cardiaca (sistolica e diastolica), accoppiamento ventricolare-arterioso, funzione vascolare, e la capacità delle cellule muscolari di ricevere e utilizzare ossigeno. La letteratura ci dice che il VO2 di picco è un forte predittore di futuri eventi cardiaci e mortalità, e, anche incrementi lievi di questo valore, possono essere clinicamente significativi nei soggetti con malattie cardiovascolari. Uno studio di Kavanagh et al. in 12.169 soggetti con malattia cardiaca, ha riscontrato che ciascun incremento di 1,0 ml/kg/min del VO2 di picco, è stato associato a un aumento del 9% di sopravvivenza. Inoltre, Keteyian et al. ha riscontrato un aumento nella sopravvivenza del 15 % per ogni incremento di 1,0 ml/kg/min del VO2 di picco in questi pazienti. L’intensità dell’esercizio sembra avere un’influenza significativa nell’aumentare la capacità di esercizio durante la prima soglia ventilatoria (VT1). Migliorare la capacità aerobica, quindi può tradursi in un miglioramento delle prestazioni delle attività della vita quotidiana. In una meta-analisi con una coorte diversificata di malattie cardio-metaboliche, Ramos et al. hanno riscontrato che l’HIIT era superiore rispetto a lavori di moderata intensità, in quanto si otteneva un miglioramento di 2 volte superiore nella vasodilatazione flusso-mediata. Un altro potenziale meccanismo dell’HIIT, nel miglioramento del VO2 di picco, è dato da una migliore vascolarizzazione, la quale consente un trasporto di ossigeno a cuore e muscoli, ottimale.

ADATTAMENTI ALL’ESERCIZIO

I principali adattamenti indotti dall’allenamento, includono una maggiore densità capillare e densità mitocondriale. Il primo può migliorare la perfusione sanguigna locale, mentre quest’ultimo, aumenta la capacità di ossidazione del substrato a un dato carico di lavoro. L’aumento del contenuto mitocondriale con l’allenamento promuove una maggiore dipendenza dall’ossidazione dei grassi con una proporzionale diminuzione dell’ossidazione dei carboidrati, che a sua volta riduce la degradazione del glicogeno e la produzione di lattato a un dato carico di lavoro. Di conseguenza, la soglia del lattato aumenta e questi soggetti, possono allenarsi per periodi più lunghi a una percentuale maggiore di VO2 di picco. Questo è particolarmente importante per i soggetti cardiopatici, in quanto una ridotta capacità ossidativa, può contribuire in modo significativo all’intolleranza all’esercizio. Durante un allenamento a maggiore intensità, c’è un maggiore accumulo di metaboliti e questo accumulo porta all’attivazione di diversi enzimi mitocondriali, che stimolano l’espressione del coattivatore-1a del recettore g attivato dal proliferatore del perossisoma (PGC-1a), un importante regolatore della biogenesi mitocondriale. Il modello HIIT norvegese, il quale propone intervalli ad alta intensità di 4×4 minuti (85-95% di picco FC) separati da intervalli di recupero attivo di 3 minuti, è un esempio di protocollo HIIT di volume elevato, il quale è stato studiato ampiamente nelle popolazioni con patologie cardiache.

Ovviamente l’inclusione della metodica HIIT, con soggetti in condizione di patologie croniche, deve seguire una progressione appropriata, ma la più recente revisione sistematica e meta-analisi sulla sicurezza dell’HIIT nei pazienti con malattie cardiache, ha scoperto che questa metodica, ha mostrato un basso tasso di eventi avversi. Nei soggetti che assumono farmaci antipertensivi, viene raccomandata una parte dedicata al defaticamento, ed è fondamentale anche un’adeguata educazione all’esercizio, così da valutare la risposta all’esercizio, migliorare la tolleranza all’esercizio, e ridurre al minimo le lesioni muscolo-scheletriche. Linee guida recenti della La Società Europea di Cardiologia delinea che, l’esercizio ad alta intensità, è appropriato anche per i soggetti sottoposti a rivascolarizzazione cardiaca, se asintomatici e stabili, ma anche per soggetti con scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta e preservata. L’HIIT potrebbe essere prescritto almeno inizialmente con 3 sessioni settimanali in combinazione con 2–3 sessioni settimanali di allenamenti di moderata intensità o di forza. Alternare queste metodiche, aiuta la persona nel recupero dalle sessioni, così da ridurre il sovraccarico muscolo-scheletrico.

INTEGRARE UNA SEDUTA HIIT

Sebbene un HIIT ad alto volume, può fornire miglioramenti superiori negli adattamenti centrali, vascolari e nel VO2 di picco, sostenere questa elevata intensità di esercizio per più di 1-2 minuti può essere impegnativo per alcuni soggetti che iniziano un programma riabilitazione. In particolare, per le persone che sono neofite o non hanno un alto grado di tolleranza allo sforzo, sarebbe meglio una graduale introduzione all’HIIT. Inoltre, in termini di progressione, viene generalmente raccomandato nei pazienti cardiopatici che durata e frequenza dell’esercizio, devono essere aumentati prima dell’intensità. Una volta che i queste persone potranno tollerare 30 minuti di allenamento moderato, l’intensità potrà essere aumentata così da inserire un HIIT di breve durata. Un’altra opzione per la progressione, è introdurre inizialmente un HIIT una volta alla settimana, per poi passare a 2-3 sessioni/settimana.

ESEMPIO DI MODELLO DI PROGRESSIONE HIIT

Le prove dimostrano che l’esercizio ad alta intensità contribuisce all’incremento del picco di VO2, e migliora la tolleranza allo sforzo. Mentre i protocolli HIIT di breve durata possono essere un potente stimolo per il miglioramento della densità mitocondriale, un HIIT di maggiore durata, sembra essere più promettente nel migliorare la gittata sistolica, gli adattamenti vascolari e incrementi del VO2 di picco, rispetto a sedute di moderata intensità. Infine, piuttosto che adottare un modello unico di HIIT, occorre strutturare ogni allenamento con una graduale introduzione e progressione, in accordo con l’esperienza individuale, così da massimizzare la sicurezza, e l’aderenza.

BIBLIOGRAFIA

Taylor JL, Bonikowske AR and Olson TP (2021) “Optimizing Outcomes in Cardiac Rehabilitation: The Importance of Exercise Intensity” Front. Cardiovasc. Med. 8:734278

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Dott. Fabio Perna

Chinesiologo Clinico (Specialista in Esercizio Fisico Adattato). Aree di interesse: Osteoporosi - Cardiopatie - Recupero Motorio Post-riabilitativo - Rieducazione Posturale - Malattie Metaboliche (Diabete Mellito, Sindrome Metabolica, Obesità) Consulenza: dott.fabioperna@gmail.com

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